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Per Aspera Ad Veritatem n.24
Intervista sull’Islam

Alain Gresh e Tariq Ramadan a cura di Françoise Germain - Robin Edizioni Dedalo, Bari, 2002



Il testo è parte di una collana denominata dagli editori “Strumenti/Scenari”, il cui intento è di promuovere una diversa lettura critica del mondo contemporaneo, in un momento in cui numerosi sono gli studi analitici e le ricerche sull’Islam e sul mondo musulmano. Si tratta in particolare di un libro intervista condotta da Françoise Germain - Robin, giornalista specializzata su temi del Medio Oriente e corrispondente da Algeri per il giornale “l’Umanité”, sotto forma di dibattito tra due interlocutori di diversa origine e formazione: Alain Gresh e Tariq Ramadan.
Gresh, attualmente capo redattore del mensile “Le Monde Diplomatique”, è un intellettuale laico ed un appassionato militante terzomondista. Ha origini familiari nella borghesia egiziana. Suo padre, assassinato a Parigi nel 1978, è stato il fondatore del movimento comunista egiziano.
Tariq Ramadan, insegnante di filosofia e professore di islamologia all’Università di Friburgo, in Svizzera, dove è nato da una famiglia di esiliati politici egiziani, è sostenitore della causa di un Islam riformista, che si propone di ripensare il mondo moderno al fine di compiere significativi cambiamenti. Nipote di Hassan al-Bana, fondatore del movimento egiziano dei Fratelli musulmani, di cui ammette la condivisione ideologico-spirituale, soprattutto per quanto riguarda la lotta all’ingiustizia sociale, propone una ricollocazione del pensiero di al-Bana nella sua epoca, evidenziando come attualmente gli obiettivi del mondo islamico e i metodi per perseguirli debbano necessariamente subire una lucida rivisitazione.
Il dibattito fornisce al lettore attento un ritratto prezioso dell’itinerario dei cambiamenti radicali cui sono soggetti sia l’Egitto che il Medio Oriente. La dialettica manifestazione delle idee dei due protagonisti, pur fortemente connotate in termini di concezioni e convinzioni radicate, anche se talvolta antagoniste, della storia, rappresenta una testimonianza di quanto complessa sia la situazione e quanti limiti di comprensione la cultura occidentale necessariamente sconti.
Si tratta d’altro canto di un dibattito appassionato che - pur non potendo prescindere da visioni diverse del mondo in rapporto alla storia personale, all’impegno filosofico, alla cultura ed alla religione - mostra la possibilità di operare su un terreno comune, in cui ampi spazi di condivisione sono consentiti soprattutto nella convinzione che il futuro del mondo si fondi sul dialogo.
Interessante è constatare come tra i due sia profondamente divergente l’interpretazione della storia dell’Egitto come pure le rispettive posizioni rispetto al ruolo degli Stati Uniti e alla questione mediorientale.
Entrambi gli intervistati, nella consapevolezza di quanto complesso sia il mondo musulmano e quanto necessaria un’analisi puntuale, profonda e differenziata, delle varie vicende, hanno evidenziato come dopo gli attentati del World Trade Center non si possano tacere le “interpretazioni” che alcuni musulmani danno dei testi religiosi, sfruttate per legittimare ed avallare azioni gravissime. Propongono dunque un lavoro intracomunitario di dialogo per stabilire ciò che, comunque, deve essere ritenuto inaccettabile dal punto di vista stesso dei riferimenti religiosi.
Viene, in ogni caso, denunciata una aprioristica identificazione dei conflitti come religiosi quando invece essi risultano legati a situazioni socioeconomiche del tutto particolari e ad effetti tipici del nuovo ordine economico mondiale. Questa mondializzazione o globalizzazione alimenta ovunque una rinascita dell’affermazione identitaria, spesso non riconducibile ad un fenomeno esclusivamente religioso.
I due intervistati denunciano anche l’estrema crisi in cui versa attualmente il mondo musulmano, superabile probabilmente in tempi non brevi, solo a condizione della ricerca di modalità di integrazione di valori pluralistici e democratici riconducibili ad un progetto alternativo da definire. Le popolazioni musulmane del resto si stanno progressivamente rendendo conto dell’importanza di creare una comunità interculturale fondata su valori e impegni comuni ed integrati alle società a cui ormai appartengono. Dal canto suo, l’occidente deve prendere le distanze dalla visione monolitica e semplicistica del mondo musulmano. Nelle comunità musulmane d’Europa, quando si parla di integrazione, si pensa di solito ad una nozione complessa, che deve esplicitarsi sia sul piano sociale che su quello legale. Si potrà parlare di integrazione riuscita solo quando i musulmani troveranno nelle proprie categorie di riferimento comportamentale elementi di concordanza con le legislazioni dei paesi di cui sono cittadini, condizione essenziale per appianare la questione della doppia cittadinanza oltre che promuovere, è l’opinione che sembra emergere, una cultura islamica europea forte. Tale situazione potrà inoltre segnare il passaggio dalla semplice integrazione dei musulmani nelle società in cui si sono stabiliti, ad una fase in cui essi stessi potranno contribuire attivamente all’arricchimento delle società in cui vivono.



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